Descrizione
[ Retrospettiva Claudio Caligari ]
▶︎ Amore Tossico
per la regia di Claudio Caligari
(Italia 1983, 96’)
★ Sinossi ★
Tra la spiaggia di Ostia e il quartiere Centocelle seguiamo la drammatica routine di un gruppo di borgatari tossicodipendenti intenti a procurarsi la droga con ogni mezzo necessario, dall’accattonaggio ai piccoli furti, fino alla prostituzione. Due ragazzi del gruppo, la coppia di fidanzati Cesare e Michela, dopo una giornata particolarmente difficile e inconcludente decidono di farsi forza l’un l’altra e tentare, per l’ennesima volta, di condurre una vita pulita. Prima però decidono di farsi un’ultima dose, le cui conseguenze condurranno a un tragico epilogo.
★ Scheda critica del film ★
Amore Tossico è il primo lungometraggio di Claudio Caligari che torna sul tema della diffusione dell’eroina tra i giovani dopo il precedente cortometraggio La parte bassa (1977). Co-sceneggiato con il sociologo Guido Blumir, il copione fu sottoposto ai maggiori esperti dell’epoca in materia di tossicodipendenze e soprattutto agli stessi “tossici”, impegnati da prima a setacciarne la credibilità e poi come interpreti stessi del film. Quando fu presentato a Venezia nel 1983 – dove vinse il premio De Sica come miglior opera prima – il film suscitò reazioni contrastanti e scomposte. Del resto, Amore tossico è ancora oggi un film anomalo, per certi versi un unicum, un cult che si odia o si ama visceralmente. Anomalo innanzitutto rispetto agli altri film del periodo sull’argomento – si pensi ai patinati Christiane F.- Noi ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel o a Tunnel di Massimo Pirri – così sospeso tra il documentarismo rigoroso e la peggior finzione, tra la cruda realtà e le battute cafone da commedia trash anni Ottanta. Anomalo nella struttura, con la prima parte tutta in campo medio frontale, il montaggio compassato e il suono in presa diretta che conferiscono distanza agli eventi; nella seconda parte siamo lanciati invece nel melodramma, un crescendo assordante tutto scatti e flashback. Anomalo per il suo ostentato e ricercato iper-neorealismo con gli attori “presi dalla strada” che mantengono i loro nomi e i continui omaggi a Pier Paolo Pasolini, la più clamorosa nel noto finale che ricalca quello di Accattone. Alberto Farassino all’epoca parlò di “pasolinismo a buon mercato”, ma la storia che ci raccontano qui Caligari e i suoi borgatari – e solo oggi lo si comprende con maggior chiarezza – non è solo quella degli ultimi che non riescono a farcela, perché troppo deboli. È la parabola della droga di Stato in Italia, è il racconto della fine di una guerra e dei suoi martiri: Cesare muore sul marciapiede non come Accattone, ma con le braccia aperte, come Cristo.
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