Descrizione
▶︎ La bocca del lupo
di Pietro Marcello
(Italia 2009, 67’)
★ Sinossi ★
Dopo una lunga assenza durata anni, molti dei quali trascorsi in carcere, Enzo torna a casa. Scende al volo da un treno in una livida città portuale, Genova. L’attraversa cercando i luoghi del passato, che affiorano alla memoria nel loro antico splendore. Nella piccola dimora nel ghetto della città vecchia, l’aspetta da anni una cena fredda e la compagna di una vita. Mary ed Enzo si sono aspettati e voluti sin dal tempo del loro incontro dietro le sbarre, quando ancora si mandavano messaggi muti, registrati su cassette nascoste. Una casetta in campagna sopra la città e il suo mare, questo è il loro sogno, lontano dal tempo presente, sospeso in un altro tempo di semplice felicità.
★ Scheda critica del film ★
Prodotto con il sostegno dei Gesuiti della Fondazione San Marcellino, che dal 1945 assiste in vari modi i senza dimora e gli emarginati della città, il film racconta auna storia di more e miseria tra gli indigenti e “esclusi” di Genova. A raccontare è Pietro Marcello, che approda a Quarto dei Mille ispirato dal ricordo del romanzo verista di Remigio Zena. La narrazione corale dei genovesi di ieri e di oggi si stringe su Enzo, emigrato siciliano, e Mary, transessuale, alla quale Enzo si è legato, sostenuto dal sogno comune di una casetta in campagna. Vincitore del Premio Caligari al Festival Internazionale di Berlino del 2010, La bocca del lupo, non del tutto documentario né del tutto finzione, è una storia di vinti e di ambizioni non soddisfabili, di gente destinata a finire sempre appunto “nella bocca del lupo”: è così che, prima della casetta con l’orto e il camino, Enzo si è fatto quattordici anni di prigione e Mary lo ha aspettato e ora possono raccontarsi alla videocamera, come una vecchia coppia, dividendosi le frasi, dandosi ragione per amore e per pazienza. Le vittime però non sono i protagonisti quanto lo spettatore, che si scopre miope e si dà improvvisamente ragione delle immagini con cui Marcello lo ha portato fino lì, in questo film ibrido che non si cura della distinzione tra ciò che è finzione e ciò che è reale. Il regista mescola infatti inchiesta e fìction, alternando la storia dei protagonisti con filmati d’epoca recuperati negli archivi dei filmmakers amatoriali di Genova. Sono pochissimi, in Italia, i registi che hanno la forza e il coraggio di battere sentieri nuovi, di aprire nuove strade, di affrontare, accettandole, asperità che hanno la potenzialità di farsi nuova narrazione, nuova estetica, nuovo cinema. Pietro Marcello è sicuramente tra questi.
a seguire
▶︎ Il silenzio di Pelešjan
(Italia 2011,52’)
★ Sinossi ★
Omaggio all’opera Artavazd Pelešjan, cineasta armeno rimasto sconosciuto in Occidente fino al 1983. Un ricordo dei suoi lavori, del cinema e del suo rapporto con l’uomo, la sua vita, il suo pensiero, le sue emozioni. Un racconto possibile grazie all’incontro con Pelešjan a Mosca e al reperimento dei frammenti delle sue opere e di materiali inediti che lo ritraggono in momenti della sua vita.
★ Scheda critica del film ★
Artavazd Pelešjan è un regista armeno. Sconosciuto al grande pubblico, durante la sua vita mette in discussione i principi del cinema sovietico e teorizza una nuova idea di montaggio: il montaggio a distanza, basato non tanto sulla contiguità dei piani ma sul loro distanziamento. Il suo è un cinema d’intensità che, nel derivare dalla lezione di Ejsenstejn e Vertov, congiura contro gli stessi principi di montaggio dei due grandi maestri russi. Dopo Il passaggio della linea e La bocca del lupo, il film solleva una problematica nuova: com’è possibile filmare un cineasta? Marcello non può che risolvere la questione con un gesto cinematografico, utilizzando cioè gli stessi strumenti di Pelešjan: il montaggio e il sonoro. Succede così che quando i due uomini rimangono in silenzio, i filmmaker parlano per mezzo delle proprie immagini: le riprese di Marcello si intrecciano con quelle estrapolate dai film di Pelešjan. Anche il ritratto del cineasta armeno si costruisce attraverso il “montaggio a distanza. Pietro Marcello realizza così un film in cui si avvertono il rispetto e la devozione – mai totalmente acritica – provati per un autore difficile, il cui cinema sfugge la narrazione didascalica. Un grande omaggio quello del regista italiano, che si colloca a metà tra presente e passato.
“Lo considero un film a metà: una parte è mia e una parte è sua. I pochi ma straordinari materiali di Pelešjan dovevano dialogare con quello che ho girato su di lui, il ritratto soggettivo di un grande cineasta, filmato senza intenzioni didattiche e senza il desiderio di spiegare alcunché. Pongo domande e osservazioni, ma non ho risposte né per me e tanto meno per lui. Il cinema si fa con le immagini e un maestro come Pelešjan lo ha ampiamente dimostrato”. (Pietro Marcello)
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