Descrizione
▶︎ L’odore della notte
di Claudio Caligari
(Italia 1998, 100′)
★ Sinossi ★
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, l’indolente poliziotto
Remo Guerra (Valerio Mastrandrea) di notte si trasforma nel capo di una banda di sottoproletari specializzata in rapine a mano armata. In nome di un riscatto sociale altrimenti irraggiungibile, Remo e i suoi complici scelgono persone visibilmente abbienti per la strada
e le costringono a portarli in casa per depredarli di ogni avere.
Di rapina in rapina, il bottino cresce proporzionalmente alle violenze, fino a quando Remo comprende di non poter più continuare così.
★ Scheda critica del film ★
Ispirato alla vera storia di Agostino Panetta, il poliziotto leader della “Banda dell’Arancia Meccanica”, l’organizzazione criminale che terrorizzò i ricchi romani per quasi un lustro, l’Odore della Notte è il secondo lungometraggio di Claudio Caligari. Girato a quindici anni di distanza da Amore Tossico, condivide con il precedente il medesimo doppio registro tragico-ironico, qui garantito dalla maschera eternamente stanca di Mastrandrea che narra con un “epicità volutamente sopra le righe” l’intera vicenda in prima persona, spesso guardando in macchina. Nonostante il pretesto narrativo sia storico, il film si inserisce pienamente nella cinematografia di fine anni Novanta, tra citazioni cinefile a go-go e qualche spruzzata di pulp à la Tarantino. Caligari gioca lucidamente con i codici del cinema di genere e dei suoi antieroi. Non manca nulla. Mastrandrea che si atteggia come De Niro in Taxi Driver di Scorsese, prima punta la pistola allo specchio e poi fa dondolare la televisione fino a farla cadere. Ed è ancora lui che nel finale spara al pubblico come il pistolero de La Grande rapina al treno di Porter, film che appare in TV in una delle ultime rapine quando Remo guarda la vittima legata al divano ed esclama serafico: “Hai visto? Non succede solo nei film, succede pure davvero”. E poi, ancora, lo split-screen alla De Palma e il fermo-fotogramma con commento over, espediente “rubato” direttamente al coevo Trainspotting di Danny Boyle, quasi in sfregio, forse per contraccambiare il furto dell’immagine del protagonista che si sdraia con la testa sui binari che Boyle mette in immagini dal racconto che fa di Cesare in Amore Tossico. E a proposito, c’è pure l’auto-citazione alla scena del “vomitino” in auto di quindici anni prima, che si ripete identica inquadratura per inquadratura, come del resto avverrà con quella del gelato nell’ultimo film di Caligari, Non essere cattivo, che diciassette anni dopo, chiuderà idealmente questa straordinaria trilogia.
**Ingresso libero**
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