A distanza di sei anni dalla mostra allestita presso il Palazzetto Eucherio Sanvitale nel Giardino Ducale, il Comune di Parma-Assessorato alla cultura dedica al conte Guido Calvi di Coenzo una nuova esposizione dal titolo “Scatti da pioniere. Ritratti fotografici del conte Calvi”, curata dallo storico dell’arte Alessandro Malinverni, referente scientifico della Pinacoteca Stuard, con la supervisione tecnica di Silvana Randazzo, responsabile del Sistema Museale del Comune di Parma. Questa volta il luogo prescelto è la Pinacoteca Stuard, alla quale è arrivato il materiale del celebre fotografo grazie alla donazione al Comune da parte degli eredi Calvi Parisetti.

La piccola mostra – allestita nella prima sala del percorso della Pinacoteca – vuole sottolineare l’importanza dell’aristocratico parmigiano che, con Filippo Beghi e Carlo Saccani, fu pioniere della nuova arte in città e protagonista del passaggio dalla dagherrotipia (immagine su rame non riproducibile) alla fotografia (immagine riproducibile su carta).

Già indagato da Romano Rosati e Roberto Spocci all’interno di importanti contributi sull’evoluzione della fotografia a Parma, Guido Calvi seppe ritagliarsi un ruolo chiave in città anche grazie ai risultati ottenuti nel campo della ritrattistica. L’interesse per il nuovo mezzo di rappresentazione, dapprima riservato alla cerchia di amici e conoscenti, si trasformò in una vera passione con l’aumentare delle richieste di posa da parte dei concittadini: dame, gentiluomini, prelati, militari e artisti facevano a gara per essere immortalati in scatti che ancora oggi si impongono per la resa psicologica e gli atteggiamenti ricercati e seducenti. Le fotografie giunte sino a noi – più spesso di sconosciuti che attendono di essere identificati – mostrano l’umanità varia di una città che da capitale di un piccolo stato viveva il traumatico passaggio a città di provincia del nuovo regno sabaudo, senza perdere però la sua caratteristica elegante bonomia.

Oltre a una serie di scatti originali – soprattutto femminili – e altri riprodotti a grandezza naturale, nelle vetrine sono allestiti album dalle preziose e originali legature, attrezzature e strumenti in parte acquistati durante il soggiorno parigino tra 1859 e 1860.

A corredo della mostra verranno organizzate visite guidate a ingresso gratuito.

 

IL CONTE GUIDO CALVI E LA FOTOGRAFIA

Nato a Parma il 16 febbraio 1827, Guido si laureò in giurisprudenza alla locale Università, dedicandosi parallelamente allo studio del violino e dell’equitazione. Fu in contatto con il marchese Giuseppe Manara, ciambellano degli ultimi Borbone e primo fotografo dilettante in città, che operava sull’onda del successo dei dagherrotipisti itineranti di passaggio a Parma all’inizio degli anni Quaranta (Alberto Weiss, Giuseppina Dubray, Auguste Meylan). Al pari di Manara, Calvi manifestò sempre interesse verso il ritratto, genere richiestissimo dalla committenza. Come ricorda Roberto Spocci, il suo avvicinamento alla fotografia è documentato dal 1854, quando si abbonò a “La Lumière. Revue de la Photographie”, il primo giornale in Europa dedicato alla nuova arte. Grazie alla lettura di riviste, manuali e trattati, maturò un’alta conoscenza tecnica, aggiornata sugli ultimi ritrovati e sugli esperimenti condotti in Francia e Inghilterra. Durante il soggiorno a Parigi tra 1859 e 1860 acquistò nuovi e costosi strumenti, come una camera da studio con obbiettivi all’avanguardia e un’altra piccola camera, marchiata a fuoco “Charles-Louis Chevalier”.

Ad accorgersi del suo talento nell’ambito della ritrattistica fu anche l’ultima duchessa di Parma, Luisa Maria, che chiese invano di posare per lui: il rifiuto del fotografo, che formalmente adduceva il difficoltoso trasporto delle attrezzature, celava in realtà convinzioni liberali e patriottiche. Sino al 1865 tenne studio in casa Paralupi, in Borgo Riolo 21 (ora via Cairoli), come risulta dai registri della Camera di Commercio, nei quali è definito “Fotografo” e “Possidente”. In quell’anno, nominato applicato straordinario nell’Amministrazione dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, decise di cedere l’attività ad Achille Rusca, non prima di aver pubblicato il manifesto d’associazione per le fotografie dei 74 disegni dell’Inferno dantesco realizzati dall’amico Francesco Scaramuzza. Divenuto Intendente dell’Ordine nel 1867, si dedicò con rigore a questo nuovo incarico amministrativo, non dimenticando di gestire oculatamente il patrimonio familiare, aiutare i bisognosi e partecipare alla vita del Comune di San Martino Sinzano in qualità di consigliere. Nella sua villa di San Martino, dove accolse personaggi del mondo sociale, culturale e religioso, si spense il 29 luglio 1906 circondato dalla stima e dall’affetto della numerosa famiglia (si era sposato nel 1857 con la piemontese Clotilde Calleri di Sala, dalla quale aveva avuto nove figli).