Descrizione
Mer 22 Gio 23, Ven 24 e Sab 25 novembre, Galleria San Ludovico, h. 21:00
Coproduzione ParmaFrontiere – Lenz Fondazione
Crine_Ermengarda Oratorio
da Adelchi di Alessandro Manzoni
Francesco Pititto, drammaturgia e imagoturgia
Maria Federica Maestri, installazione e composizione
Roberto Bonati, musica
Carlotta Spaggiari, interprete
Co-Produzione | Lenz Fondazione – ParmaFrontiere
Dopo Dante e Pasolini, il Progetto Speciale di Lettura sarà dedicato nel 2023 ad Alessandro Manzoni, di cui si celebreranno i 150 anni dalla morte (1873) e prevede la realizzazione di: Crine Ermengarda_Oratorio, opera performativa e musicale che vede insieme all’interprete sensibile Carlotta Spaggiari, l’esecuzione live di Roberto Bonati, e una grande videoinstallazione de I Promessi sposi, e letture, incontri, seminari per esplorare la contemporaneità del più grande autore della letteratura italiana. L’intero progetto è curato da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto.
Con Crine, nuova riedizione performativa ispirata all’Adelchi di Alessandro Manzoni, Maria Federica Maestri e Francesco Pititto rimettono al centro della propria indagine performativa l’autore fondativo della letteratura italiana per provocare una riflessione profonda sulla potenza poetica e la retorica della lingua italiana. La messinscena_oratorio sarà un’emanazione poetica della tragedia manzoniana, il motus per un’attenta riflessione teorica sulla contemporaneità di un’opera complessa e dimenticata della nostra letteratura drammatica.
Dell’Adelchi è la figura di Ermengarda ad essere trasdotta in immagini drammaturgiche che delineano corpi femminili di irriducibile bellezza, mai sottoposta al vincolo del convenzionale. Il rimando manzoniano impone una riflessione/rifrazione sulla forza oppositiva della rinuncia al corpo fino al delirio mortale contro la brutalità del cliché.
Ermengarda è amore psicofisico, la ferita dell’abbandono è nel corpo e nello spirito, il dolore trasfigura e cementa l’eroina rendendola muta e dura alle richieste del vivere normale.
Ermengarda diventa epifanìa d’incontro di molteplici storie vissute, d’amori infranti, sospesi, rimandati, dimenticati, imposti e liberati, figura portante di sequenze filmiche scandite come versi settenari di un coro tragico del tempo presente. L’Ermengarda manzoniana rappresenta il culmine esistenziale e teatrale della remissione che le deriva dal rifiuto cui la condanna Carlo Magno, rendendola vittima innocente di una sofferenza impotente e spersonalizzante. L’epilogo della tragedia è il suicidio come gesto di estrema sottrazione dal sé e dal dolore dell’esistenza.
Ecco un’altra figura di donna che ama fino alla morte e nel delirio d’amore comunica direttamente al Cielo lo stupore mortale di fronte al proprio abbandono. Ermengarda dell’Adelchi manzoniano non si arrende alla realtà della Storia, quella che i potenti maschi decidono, ma si concede totalmente al proprio sentimento, all’intima storia di amante che tutta la passione contiene, nel non detto, nel non dichiarato, nella casta costrizione dentro al proprio Io
Nell’Adelchi la Storia è contemplata attraverso il dramma interiore dei protagonisti, sublimato in una visione religiosa della vita. Adelchi ed Ermengarda sono spiriti ricchi di contrasti fra ideali e sentimenti – la pace e la gloria per il primo, l’amore ancora vivo del marito per la seconda. Vivono per alti e nobili ideali, comprendono le angosce e sofferenze degli altri e trovano solo nella morte la piena realizzazione della loro complessa e travagliata
personalità. Adelchi, prima di morire, dirà che sulla terra “non resta che far torto o patirlo”: si tratta del tipico pessimismo giansenistico, a cui si può opporre una concezione provvidenziale del dolore, la sofferenza è un dono di Dio poiché prova che non si è fatto il male.
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